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MI PIACCIONO GLI AUTOGRILL (Adele e Spank sola andata)

Aggiornamento: 17 feb 2022


Adele, 2 luglio


La mia vecchia Twingo rossa scivola sull'autostrada che è una meraviglia. È una promettente mattinata di luglio. Spank, intrappolato tra il frigorifero e la tenda di emergenza, se la dorme.


Pago dieci euro a due mani di cui non vedo la proprietaria. Il vetro del casello si apre il giusto per far passare sessanta centesimi di resto e una mano piccola e grassa con una fede troppo stretta.

Che lavoro di merda, penso.

Tutto il giorno ad alzare e abbassare un finestrino mentre guardi spiccioli e televisione e pensi che questo mese i soldi - quelli dell'assicurazione che ti danno per il rischio cancro - li devi spendere per la pulizia dei denti. Eppure te li lavi tre volte al giorno col dentifricio in offerta a due euro e novantanove all'Esselunga che fanno vedere nella pubblicità su Canale Cinque, e dicono che fa miracoli.


Seguo per Grosseto e decido di fermarmi al primo autogrill appena imboccata l'Aurelia.

Non ho scelto un autogrill serio.

Piuttosto una di quelle aree di servizio di seconda mano, vecchie e dimenticate, che cambiano padrone ogni stagione come una puttana ogni notte e d'inverno chiudono i battenti.

Mi piacciono gli autogrill.

Così come le stazioni, i porti, i distributori di benzina, i motel e gli ostelli, i rifugi di montagna, le tende solitarie sulla riva di un fiume, le cabine di una funivia, le baracche in mezzo al nulla che vendono la frutta.

Mi piacciono i luoghi di passaggio in generale, quegli spazi indefiniti dove nessuno ti chiede di essere di nessuno, dove ti fermi per andare o per tornare ma non resti mai.


Davanti alla cassa c'è una discreta fila. Saranno almeno una decina. Tutti aspettano il loro turno senza lamentarsi, tipo gli anglosassoni. Stanno posizionati due a due come bambini in gita scolastica.

M'impilo dietro un signore pelato che raspa nel marsupio e sua moglie che ticchetta il sandalo sul pavimento. Faccio coppia con Spank, seduto educatamente al mio fianco destro. Che mi guarda e non vede l'ora di andare a pisciare sulle ruote delle auto di tutta questa gente.

«Abbiamo quasi finito», lo rassicuro.


Mi osservo intorno.

Gente che viene e che va. Gente che fa uno spuntino, parla al telefono, ride, fischietta. Gente che tocca i pacchi di biscotti, ringrazia, ascolta, interrompe, richiama i bambini.

M'imbambolo sempre a guardare la gente in viaggio. Immagino dove va, da dove torna. Studio i sorrisi, cerco di capire se sono veri. Osservo le coppie, le famiglie, quei bei quadretti in vacanza che sembrano messi lì apposta sulla tua strada per dimostrarti che qualcuno ce l'ha fatta. La felicità si vede subito, da come ti guardi, da come addenti un panino.


«Quanto pago?»

«Un euro e venti.»

Ritiro il mio scontrino e mi faccio strada verso il bancone troppo piccolo e affollato. Spank si muove incerto tra piedi acciabattati e cd di Eros Ramazzotti e libri di varie sfumature e tasche che tintinnano. Bevo in fretta tre sorsi amari di un caffè preparato altrettanto di corsa e usciamo. Oltrepassiamo il gruppo di tavoli di ferro che traballano sotto la pensilina e ci nascondiamo sul retro. Dove nessuno passa, dove chi passa non fa caso a niente. Spank si mette a perlustrare il marciapiede e il perimetro di un pino, io mi giro una sigaretta.


Ho comprato quattro pacchetti di Golden Virginia e sei di cartine per avere una discreta autonomia. Odio quelle situazioni in cui ti devi stressare alle undici di domenica sera per trovare un tabacchino aperto, girare in macchina mezz'ora e alla fine accontentarti di quelle Winston blu che ti fumavi dieci anni fa e che adesso ti fanno vomitare.


Dieci anni fa.


Sono la persona più dipendente del mondo che odia il fatto di essere dipendente e fa scorta di tabacco per fingere di essere libera.



Da "Adele e Spank sola andata". In tutte le librerie digitali e fisiche.
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