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COME QUEL GRATTA E VINCI CHE UNA VOLTA NELLA VITA PAGA (Adele e Spank sola andata)



Nell’ora che seguì bevvero una serie di drink incazzati di cui Danilo aveva perso il conto. Era dilaniato, ubriaco marcio, e ormai non c’era più possibilità di nasconderlo.


Come torneremo a casa? si chiese.


Spostò gli occhi su Adele. La risposta era nei suoi fianchi che si dimenavano in mezzo a Piazza Bovio e sulla cerchia di maschi sudati che le si era formata attorno.


Non ci torneremo. Dormiremo in macchina, in qualche campo. Lei è con me.


Il dj annunciò l’ultimo pezzo e ringraziò per la partecipazione. Seguirono una serie di applausi, fischi, e le note di The rhythm is magic annaffiarono i rimasugli della serata: gente che come loro non aveva voglia di andare a letto o semplicemente non sapeva come arrivarci. Donne che anche per quella sera non avevano trovato il principe azzurro. Uomini che si preparavano a tornare a casa e farsi una sega. Bariste che non vedevano l’ora di chiudere.


Adele si contorceva sul lastricato, madida di rum e di sudore, con la testa china e le trecce che le ondeggiavano sul viso e sulle spalle. Presente, assente, Danilo non lo capiva.


Lui c’era, a modo suo. Era lì a cinque metri da lei, un quadro appeso storto sulla balaustra, incapace di muoversi e di parlare eppure vigile, pronto a sventrare chiunque le si fosse avvicinato troppo.

Vieni qui! avrebbe voluto urlarle. Smettila di farti guardare da quella massa di coglioni, tirati su la gonna, che ti si vede il fiocchetto delle mutande.


Solo che non ce la faceva.

Non era capace di schiodarsi da quel muretto, di pronunciare una frase che contenesse più di quattro parole.


Mi scappa da pisciare, era forse l’unica cosa che sarebbe riuscito a dire.


Si abbandonò all’indietro lasciando che la superficie ruvida della balaustra gli grattasse la pelle sul fondoschiena. Il cielo era un groviglio di stelle. Ne cercò una a caso e ci piantò gli occhi: quella era la stella polare della loro notte con la terza P.

Li avrebbe portati fino a Riotorto, doveva solo seguirla.

Adele non era in grado di guidare ma lui sì, lui poteva farlo. Adesso si sarebbe ripreso. Doveva soltanto sciacquarsi il viso, fare due passi.


Fa che non incontriamo un posto di blocco, le sussurrò implorante neanche fosse Dio.


Adele arrivò.


«Stai bene?» gli chiese poggiandogli una mano sul petto.


Danilo non si mosse e annuì. Era piegata su di lui, tanto vicina che poteva sentire il suo alito caldo e impregnato d’alcol sul collo e nel naso. Col viso gonfio e le trecce mezze sfatte, i capelli che le si appiccicavano alla fronte e quella molletta celestina che le ciondolava aperta su un orecchio. Così splendida sotto la luna. E gli stava massaggiando il petto e lo guardava con gli occhi grandi e rossi e umidi, mentre gli chiedeva se per caso doveva vomitare.


Adele gli sorrise e disse «Va tutto bene».


Danilo mise la mano su quella piccola di lei e all’improvviso, sotto quel cielo impolverato di stelle, si sentì esplodere.


Sì, fracassarsi in mille pezzi che schizzavano via da lui e si sparpagliavano in ogni direzione come brandelli di un cervello spappolato da un proiettile.


Pezzi di rabbia, angoscia, paura. Pezzi di dolore, di sensi di colpa, pezzi di muri che aveva innalzato, pezzi di bugie che aveva costruito, pezzi di Tommy, pezzi dell’assistente sociale, pezzi di sua madre. Pezzi di disprezzo. Di vergogna. Pezzi di frustrazione e solitudine.


E si sentì inaspettatamente libero.


Svuotato, senza peso, adesso galleggiava felice su quella balaustra in bilico fra mare e cielo. Come per incanto, come per magia, come per quel gratta e vinci che una volta nella vita paga.



Da "Adele e Spank sola andata", in tutte le librerie digitali e fisiche.






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