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L'AMORE VINCE SEMPRE (Seconda parte)



Gabri mi telefonò quattro giorni dopo.

La sera stessa in cui era morto, mi ero presa l'orologio da parete di mio nonno e l'avevo appeso in cucina. Eccetto che per il funerale, che si era svolto il pomeriggio prima, non avevo più messo piede fuori di casa. Vegetavo sul divano dal momento in cui ero tornata dal cimitero. Fumavo, dormivo, e contavo i tic tac delle lancette.

Quando mi ha detto da chi l'aveva saputo non ho nemmeno capito il nome, tanto poco m'interessava.

«Ma perché non mi hai chiamato? Sarei venuto subito da te.»

Lo ringraziai e gli dissi che questo non avrebbe cambiato le cose. Poi parlammo brevemente di com'era successo.

«Come stai Ade? Cosa posso fare?»

Affogo. Muoio.

«Insomma...»

Non mi è mai riuscito dire a Gabri una bugia tutta intera.

«Mi dispiace da morire. Dimmi cosa posso fare, davvero. Qualsiasi cosa Ade.»

Torna. Torna Cristo Santo almeno tu che sei vivo.

«Niente Gabri, grazie.»

«Dove sei adesso, a casa?»

«Sì.»

«Hai mangiato?»

Qualsiasi altra persona avrebbe scelto tra un milione di domande e non avrebbe mai pensato a questa.

Ma qualsiasi altra persona non era Gabri.

«No.»

«Ti porto qualcosa. Dimmi cosa ti va e arrivo.»

Risposi che davvero, davvero non mi serviva niente.

«Sei sicura? Guarda ci metto un attimo Ade, tra mezz'ora sto lì.»

«Sicurissima, non preoccuparti, davvero.»

«Sì però devi mangiare...»

«Gabri ma che cazzo te ne frega a te se mangio o meno? Te ne sei andato, anzi ora ve ne siete andati in due. E io sto una merda, contento?»

Dio mio.

Ma che cazzo hai detto.

Che cazzo hai detto, che cazzo hai detto, che cazzo hai detto???

Calò il silenzio.

Mi sentivo avvampare come se avessi appena infilato la faccia in un caminetto acceso.

Allontanai il telefono dall'orecchio: non avevo il coraggio di scoprire come proseguirà la conversazione.

Ma che cazzo hai detto, continuavo a ripetermi.

E nel frattempo mi sembrava di vedere dall'altra parte gli occhi di Gabri quando si spalancano un attimo a guardare nel vuoto e si chiudono che è già tornata la pazienza, e la rabbia non ci si ferma proprio mai.

«Ade...»

Seguì una pausa più lunga dell'infinito. Dopodiché mi sospirò «Vengo da te.»

Mi scusai.

Gli risposi che avevo detto una cazzata e che no, non ce n'era bisogno. Anzi, non volevo proprio che venisse.

«Va bene così - aggiunsi - non sono molto in me Gabri.»

E mi scusai di nuovo, ancora, e ancora, mentre lui mi diceva Basta Ade, tranquilla, non c'è problema. Tranquilla. Stai tranquilla.


Lo amavo, lo amavo certamente.

Mi aveva preso il cuore e poi l'aveva stritolato neanche fosse pongo.

Mi era rimasto un piccolo cuore in miniatura per colpa di questo qui.

Lo sapeva lui che era già un miracolo se respiravo ancora?

E io stavo lì a chiedergli scusa.


«Sei da sola?»

«No.»

«Chi c’è lì con te?»

«Un cane.»

»Un cane? Come un cane?»

«L’ho trovato fuori dall’ospedale. L’ho chiamato Spank.»

Percepii la sua sorpresa e alla fine non fece che aggiungersi alla mia nel constatare che sì, c’era proprio un cane in casa mia.

Commentò che era un bel nome e mi chiese se aveva un proprietario.

«Non lo so. Non ha il collare...»

Mi fece notare che forse aveva un microchip.

«Quindi dovrei portarlo da un veterinario?»

«Credo di sì... o magari se chiami il canile ci pensano loro.»

Spostai gli occhi su quel coso con la coda arricciolata, le orecchie grandi come due paraboliche, e la bocca aperta in un'espressione che sembrava un sorriso umano.

Mi guardava.

E non era già più un coso.

Era un cane.

E non era più nemmeno un cane.

Era il cane.

Era Spank.

«Allora lo porto da un veterinario.»

«Vuoi che ti accompagni?»

«No.»

«Sicura?»

No.

«Sì.»

Silenzio.

«Ma... com'é?»

«In che senso?»

Gabri mi chiese che aspetto aveva e io lo osservai di nuovo mentre se ne stava seduto davanti alla porta come se sapesse che di lì a poco sarebbe arrivato il momento della passeggiata.

«Dico... è grande o piccolo?»

Io non lo sapevo se era grande o piccolo.

Medio, avrei voluto rispondere.

Il punto era non era né grande né piccolo.

Era solo sporco. E magro. E quando si accorse che lo guardavo si alzò, mi raggiunse, e mi poggiò le zampe anteriori sulle ginocchia puntandomi fisso con quegli occhi cerchiati di nero. Sembrava dirmi Usciamo? Mi bastano solo un paio di alberi sai? Va bene anche un cespuglio. Un drappelletto d’erba minuscolo, se proprio non c’è altro.

Mi resi conto solo ora di quell'olezzo nuovo. Aveva impregnato le pareti, il tappeto, i cuscini del divano e più o meno tutto quello che annusavo.

«Lo porto da un veterinario. Non è grosso ma ha le zampe lunghe. E puzza un casino.»


Adesso Gabri è qui di fianco a me che aspetta di ordinare da bere per tutti e tre e nel frattempo mi fa duemila domande, e duemila sorrisi, e io vorrei baciarlo per i prossimi duemila anni.

L'ultima volta che ci siamo sentiti è stata tre anni fa, pochi giorni dopo il concerto dei Rolling Stones.

Roba da non crederci.

In mezzo a ottantamila persone, Gabri aveva visto me e io avevo visto Gabri.

E questo era bastato a far scomparire Giulio, Mick Jagger, e tutto il circo massimo nel tempo di uno starnuto.

Ma eravamo troppo lontani per poter minimamente anche solo immaginare di raggiungerci e salutarci.

La domenica successiva era una giornata afosa ma senza sole. Giulio era uscito in moto mentre io avevo deciso di sabotare il mare e restarmene a casa. Intorno alle cinque del pomeriggio, mentre stavo leggendo I fratelli Karamazov tutta scosciata sul divano, il cellulare squillò. Quando vidi il nome di Gabri sul display mi mancò il fiato come se avessi appena fatto una corsa fino a Mosca e ritorno.

«Pronto...»

Mi chiedeva se mi era piaciuto il concerto. Diceva che mi aveva vista in mezzo alla gente e che gli dispiaceva di non essere riuscito a salutarmi. Io l’ascoltavo aspettando che arrivasse al dunque senza sapere esattamente quale fosse.

Il dunque era che potevamo prenderci un caffè il giorno successivo, o magari una pizza se avevo più tempo.

«Certo.»

Ma come certo???

«Bene! Allora magari facciamo una pizza?»

«Ok.»

Ma come ok.

«Vuoi che passi a prenderti?»

«No...troviamoci da qualche parte.»

Stavo dicendo tutto il contrario di quello che avrei voluto.

E dovuto.

Non capivo un emerito, fottutissimo cazzo.

Annuivo e basta, anche quando non mi chiedeva niente.

«Da Gioele per un aperitivo prima di andare?»

No. Da Gioele no. C’avete passato un’invernata, a scaldarvi le mani sotto quei funghi di metallo. E lui ti ciucciava la punta del naso e tu gli appoggiavi la bocca sul mento.

«Va bene.»

«Alle otto?»

«Si.»

«Perfetto.»

«Perfetto.»


Sono rimasta qualche istante lì ferma.

Le emozioni schizzavano incontrollate su e giù per la stanza come api impazzite quando gli distruggi l'alveare. Ed era uno di quei momenti in cui ce ne sono tante troppe e tutte diverse e tu non sai proprio quale scegliere.

Mi sono avvicinata all’ingresso di casa col telefono ancora in mano e ho guardato attraverso la porta finestra. C’era Giulio, scalzo, che si dava da fare tra pentolini tostapane e spremuta d’arancia.

Stava preparando un brunch.

Spettinato, con gli occhi strapazzati come l’uovo che aveva già messo in tavola, era ancora più bello.

Nell’angolo destro delle tovagliette c’erano le tazze di Wall-e. Quelle trovate dentro la calza.

Me l’aveva fatta portare dalla Befana vera. E io l’avevo abbracciato e m’ ero messa a piagnucolare sulla sua barba neanche fossi tornata a cinque anni quando avevo paura della gobba.

Indossava una delle sue solite t-shirt. Viste da lì, coperte da tutto quel bianco semplice, le sue spalle sembravano un ghiacciaio. Di quelli che ti viene voglia di arrampicarti sulla punta e goderti il panorama da lassù. Sopra s’era messo anche un grembiule.

L’idea del contrasto creato da un pezzo di stoffa rosa col bordo giallo su tutti quei muscoli non mi faceva per niente ridere. C’immaginavo il suo corpo nudo sotto, i lacci del fiocchetto che gli cadevano sulle natiche.

Era sexy.

Guardavo la sua mano spolverarsi sulla tasca, quell’espressione corrugata nella fronte di chi cascasse il mondo deve fare un bel lavoro.


C’è un uomo bellissimo che ti sta preparando la colazione neanche fossi la Principessa Sissy che gli ha appena ceduto il suo gioiello più prezioso e i tre quarti d’Austria che le rimangono. Vedi la cura nelle sue mani. Vive con te da appena due settimane e tu guardati, sei rifiorita come questa tavola. In primavera andrete in Val d’Orcia. Hai prenotato con Groupon, è una sorpresa. Ora lo guardi armeggiare sui tuoi fornelli, le dita che prendono confidenza con le mensole. Sono le stesse a cui ti aggrappavi non più di un’ora fa, quando ti prendeva da dietro e col braccio ti teneva ferma la pancia mentre ti divincolavi sul tagliere. Lo adori quel braccio. Ti piace quando t’immobilizza mentre fate l’amore. Quando il tuo corpo boccheggia ma lui non lo lascia riprendere fiato. E’ bello trovarselo lì davanti, fermo duro e grande come un tronco d’albero a sbarrarti la via. Guardi quella vena gonfiarsi e farsi strada sulla pelle come una radice quando si ribella al cemento. E tu lo spingi con tutte le tue forze, lo graffi cerchi scampo, ti ci ammazzi sopra ma non lo smuovi. Non ti ci stacchi da Giulio, se è quel braccio a deciderlo.

Sei innamorata. Cotta, stracotta, strinata ribollita e ripassata in forno per l’ultima botta, quella che fa la crosta. Si direbbe che il tuo Giulio non è in una botte di ferro. E’ in un bunker di cemento armato di nuovissima generazione a prova di guerra nucleare.


La mattina dopo Gabriele si è visto arrivare un messaggio che annullava la cena per l’insorgere di un impegno inaspettato a cui non credevano nemmeno le freccette sui tasti del telefono mentre lo scorreva.

Mi ha chiamato che ero appena rientrata dalla pausa pranzo e ci siamo accordati per sentirci una volta uscita dall'ufficio.

Quel pomeriggio sono stata in ansia tutto il giorno.

I minuti non passavano mai su quel cazzo di angolino in basso a destra dello schermo. Quando ho aperto lo sportello della Twingo e mi sono finalmente trovata sola il cuore mi scalpitava su e giù per la gabbia toracica.

Mi ha chiesto come stavo. Poi mi ha detto che avremmo potuto vederci un’altra sera se quella non potevo.

Gli ho risposto che ero molto impegnata e di sicuro in quel momento ha capito che stavo bluffando.

«Va bene anche un caffè, un aperitivo…cosa vorresti fare? Qualcosa di fulmineo, prometto.»

Ho detto che era un sacco di tempo che non ci vedevamo. E che a saperlo prima che ci voleva Mick Jagger magari mi facevo amico il Produttore.

Lui ha capito che stavo solo cercando di difendermi e abbiamo riso della mia battuta.

È raro che Gabri non ti lasci il tempo di parlare però quel giorno l’ha fatto.

Ha preso la parola ed è andato avanti per almeno due o tre minuti a dirmi che avevo ragione, avevo perfettamente ragione su tutto. E che se non volevo incontrarlo lui capiva. Ma erano successe tante cose nel frattempo.

Gli sarebbe piaciuto raccontarmele con calma, o anche di fretta, scegliessi io.

L’importante era che non pensassi che m’aveva chiamata solo perché mi aveva vista a un concerto.

«Diciamo che mi ha dato una spintarella.»

La situazione, la sorpresa, il fatto che eravamo a Roma. Ammetteva che per un attimo aveva pensato di saltare su qualche centinaio di teste e venire a cercarmi.

«Ma non ho nemmeno fatto in tempo a vedere con chi eri…»

Forse si aspettava qualcosa ma io non ho detto nulla.

Mi ha raccontato che si era trasferito a Firenze e che vivere lì gli piaceva. Che la notte si respirava sempre una certa magia per le vie della città, gli ricordava un po’ Roma. Che camminava un sacco. Che gli erano tornate in mente le nostre passeggiate a Trastevere. Che a Novembre si era preso tutto il mese e era andato a farsi il Cammino di Santiago.

«Da solo?»

«Solo sono partito e solo ho camminato per duecentosessanta chilometri.»

«Ti sei fatto duecentosessanta chilometri a piedi?»

«E che problema c'è?»

Giusto. Avevo dimenticato che per Gabri i problemi non esistono, esistono solo soluzioni.

«Ma... l’hai fatto per un motivo preciso? Mi sono persa qualcosa?»

«Dovevo pensare.»

Perché devi sempre pensare Cristo???

Ho detto Bene e in effetti potevo sfornare qualcosa di più intelligente.

«Non hai idea di quante cose si riescono a pensare camminando.»

«Invece lo so, me l’ha insegnato Spank.-

Già, Spank. Mi ha chiesto come stava e se ero riuscita a farlo smettere di correre dietro ai gatti.

«Ti va di raccontarmelo uno di questi giorni? Quando vuoi. Mi richiami tu in settimana e mi fai sapere cos’hai deciso. Ok?»

Ho preso a picchiettare l’accendino sul finestrino senza sapere cosa rispondere.

Lui, senza vedermi in faccia, senza sentirmi parlare, forse senza nemmeno avvertire il mio respiro, ha intuito che mi mancava un tassello: non capivo che intenzioni avesse.

«Non sono impazzito Ade, anche se mi rendo conto che può sembrare così.»

No, non sembra. M’è sembrato quella mattina che hai preso il culo e sei andato via. E anche quando l’hai riportato quell’inverno stesso e siamo andati a casa di tuo nonno in montagna. Ricordi? Il freddo aveva ghiacciato l’acqua nei rubinetti e tu mi lavavi gli occhi con la saliva. Abbiamo fatto l’amore tra lenzuola di peloncino e m’hai detto che mi amavi in quelle nuvolette di condensa sopra la rimbocca. Dopo nemmeno un mese non avevi ancora capito che non avresti dovuto staccarlo da quel letto per il resto dei tuoi giorni. Il tuo culo, intendo. Mi è toccato vedertelo rimettere sulla sella della tua Vespa mentre mi dicevi che meritavo di meglio che un coglione come te. E lo sapevi anche tu che non sei un coglione, figuriamoci se non lo sapevo io. Eppure mi è toccato lasciarti andare un’altra volta.

«Meglio di no Gabri.»

L’ho detto con la voce che mi tremava come la bandiera del Bagno Lido in cima al lungomare nei giorni di tramontana.


Credo di essermi fumata una decina di sigarette nella mezz’ora che è seguita.

Ferma in macchina davanti a un marciapiede, col mento appoggiato sul volante e gli occhi in quell’altra vita.

Poi ho messo in moto e sono tornata da Giulio.


No. Giulio non era al sicuro.

Io non ci potevo andare da Gabri.

Lo sapevo che l’amore vince sempre.

Bisogna vedere che succede quando a dichiarargli guerra ce n’è un altro.














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