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ESSERCI O NON ESSERCI... QUESTO È IL PROBLEMA

Immagine del redattore: Valentina De LucaValentina De Luca

un agosto di qualche anno fa


Mercoledì, giro di boa della settimana.

Agosto si presenta con cielo incerto, vento e nuvoloni che corrono veloci e lasciano che il sole saluti soltanto in mezzo a sporadici squarci di azzurro.

A me sta bene questo tempo settembrino, arrabbiato e imprevedibile. Mi sta bene questo limbo in cui tutti si ritrovano confinati perché la giornata non ha ancora preso una piega, che sia mare o passeggiatina a Follonica, che sia una partita a carte o un giretto a Populonia, non si capisce.


L'aria è fresca e umida e assomiglia più a quella di un bosco quando il sole è già calato che a quella di un dopo pranzo in Maremma.

Qualcuno è andato comunque al mare, qualcun altro ripiegherà sulla piscina; altri ancora si sono già rassegnati e fanno i lavoretti di manutenzione intorno alla roulotte o le parole crociate. C'è chi si scola l'ennesimo bicchierino in attesa che la moglie prenda una decisione.


I due vecchi che ho incontrato prima in bagno se ne stanno con le gambe violacee allungate su sdraio a strisce bianche e blu e guardano entrambi con aria vagamente nostalgica verso un punto indefinito oltre la siepe.

Chissà cosa pensano.

Chissà se, pensano.

Forse sono solo vecchi.

Forse sono solo stanchi.

Come Spank un paio d'ore fa, quando in mezzo alla pineta si è fermato e io l'ho guardato e gli ho detto Che fai?


Lui mi fissava con due occhi così strani.

Non c'era il languido di quando mi vede qualcosa di commestibile in mano.

Non c'era il guizzo di quando annusa un gatto, non c'era il leggermente sofferente del devo fare la cacca ma non mi viene, e non stava immobile con una zampa alzata, il che indicava che non c'era nemmeno da togliergli qualcosa - pruni, formiche, zecche, sassolini appuntiti o vattelappesca - dai polpastrelli.

Così ho ripreso a camminare aspettandomi che mi seguisse, ma lui è rimasto fermo.

Allora sono tornata indietro, mi sono chinata accanto a lui, e l'ho accarezzato. Che c'è Spank? gli ho ripetuto guardandolo meglio e più da vicino.

In quel momento ho capito che era stanco.


Il mio cane era stanco e non voleva più camminare.


Vuoi tornare indietro? gli ho detto rialzandomi e girandomi verso la direzione da cui eravamo arrivati.

E lui ha fatto dietro front e ha ripreso la marcia. Aspettandosi che io lo seguissi.


L’ho seguito.

Siamo arrivati al nostro accampamento e l’ho osservato mentre beveva.

E poi, invece di prendere la pallina e lanciarsi in una delle sue manifestazioni di gioia per l’arrivo a casa, si è buttato nella cuccia e chi l’ha sentito più.

Solo quando il vento esagera e qualche pigna cade nei dintorni allora alza la testa, mi guarda per capire se è tutto a posto, e poi si ributta giù e se la dorme.


La veterinaria mi aveva avvertito.

«Camminate con moderazione», ha preso a raccomandarsi da un annetto a questa parte, quando sono cominciati i primi acciacchi.

«Ma cos’ha?», le ho domandato la prima volta e già mi veniva da piangere.

«Comincia ad avere una certa età il signorino», ha continuato la Romeo per non dirmi che il mio cane invecchiava.

Nel caso specifico era sciatalgia. Ma poi sono arrivate quelle infiammazioni in mezzo ai polpastrelli quando fa troppo caldo. E dei problemi alla prostata. E il fatto che prima camminava sempre davanti a me e ora cammina al mio fianco, e ho una paura matta che un giorno cominci a camminarmi dietro.


«Non ci devi pensare», mi ha detto Giulio il 25 gennaio quando ho dovuto togliere la milza a Spank perché c’era quella cosa all’interno e non si capiva cosa avrebbe fatto, una piccola ciste che avevamo monitorato per sei mesi, ed era cresciuta ma non troppo, comunque il problema era che non si sapeva cosa aveva intenzione di fare: poteva fermarsi, oppure continuare a crescere, o scoppiare all’improvviso e lì sarebbe stato un disastro.

E allora l’abbiamo tolta.

La milza e tutto con quella cosa dentro, perché non si poteva fare altrimenti.

Ed è andato tutto bene.

Ma Spank non si scrollava di dosso l’anestesia, e la Romeo mi ha detto che I cani anziani hanno bisogno di più tempo perché il corpo si riprenda, e io piangevo e dicevo a Giulio Non voglio che Spank muoia.

«Non morirà».

«Ma io non intendo adesso…intendo non voglio che invecchi, che il muso gli imbianchi…lo vedi il muso, è ancora quasi tutto marrone ma ci sono quei peli lì che non mi piacciono per niente».

Giulio ha lanciato a Spank un’occhiata sbrigativa dopodiché ha annuito.

«E poi che cazzo vuol dire cani anziani? Non è mica anziano... – continuavo io – però a volte si ferma. E il passo…»


Avrei voluto proseguire.


Piangere piangere e che Giulio mi abbracciasse, e sentirmi dire che sarebbe andato tutto bene, e che avremmo affrontato qualsiasi cosa insieme, e che mi capiva, e qualsiasi altra cosa vera o presunta che fosse che in quel momento mi aiutasse a sentirmi meglio.


Ma Giulio si era messo a guardare il display del suo iPhone.


«Tutti invecchiamo. Non ci pensare, è una cazzata fissarsi adesso su queste cose», ha concluso alzando gli occhi senza guardarmi veramente, come quei due vecchi facevano poco fa con la siepe.




Ora lo osservo sonnecchiare nella sua cuccia da viaggio con i Dalmata disegnati, il mio piccolo Spank che per me un vecchio non sarà mai, nemmeno quando quella chiazza biancastra che si sta allargando minacciosamente gli coprirà tutto il muso.

Forse aveva anche ragione Giulio a dire che non bisognerebbe pensarci a queste cose, come le chiama lui.

Ma se facessi solo quello che bisognerebbe fare, smetterei con almeno la metà delle cose che faccio. Bere, fumare, starmene troppo chiusa in casa, fare la spesa senza consultare i volantini delle offerte, addormentarmi con le luci accese, parlare da sola, mancare di autostima, vedermi grassa, prendermela per quello che dice mia madre, accumulare in modo compulsivo tazzine da caffè, arrabbiarmi con la gente stupida, piangere per mio nonno, piangere in generale, farmi le seghe mentali, mangiare la Nutella, innamorarmi degli imbecilli sono solo alcuni dei tanti esempi che si potrebbero citare.


E così io ci penso al fatto che un giorno Spank non ci sarà più.


Ci penso e non ci posso e non ci devo pensare, ma ci penso lo stesso.


Penso al mio cane che ha nove anni, e mi sento in colpa perché l’altra mattina abbiamo fatto più di sette chilometri nel parco della Sterpaia e lui non ha detto bu, e ieri almeno cinque, e lui non ha detto bu di nuovo, e stamani nemmeno ha detto bu, ma mi ha guardato con due occhi che non si dimenticano.


E Giulio che ne sa di cosa vuol dire trovare un cane nel giorno e nel posto dove ho trovato io Spank. Guardarlo, e capire in un attimo che è solo come te. Vederlo che ti segue. E poi salire in macchina mentre lui si alza sulle zampe e ti graffia lo sportello e cerca di affacciarsi al finestrino ma è troppo piccolo, non ci arriva. E fermarsi, perché che diamine, non puoi andare avanti con un cane che ti si avvinghia allo sportello.


Fermarsi e guardarlo meglio, quel buffo cane fulvo con le orecchie a punta e il muso lungo che assomiglia a una volpe. Quella strana coda arricciolata con due giri su se stessa che si muove a destra e sinistra e quegli occhi gialli che sembrano cerchiati con una matita e ti dicono ma dove vuoi andare senza di me, fammi salire.

Farlo salire, e costatare che per prima cosa ti lascia qualche simpatico verme sul sedile.

Andare a casa, piangere, e non aver voglia di fare niente perché è un giorno di merda.

Ma quello perde vermi ed è sudicio lercio, e forse bisogna fargli un bagno.

E poi è magro, magrissimo stecchito.

E avrà fame, e allora bisogna cercare qualcosa di specifico per lui, ma cosa gli dai, tu non ce l’hai mai avuto un cane.

E allora forzarti a uscire, già che forse gli scapperà pure la pipì.

Alzarti dal divano e violentarti per vestirti e camminare quella prima volta controvoglia, la prima di tutte le volte che ci saranno poi, la prima che ti salverà.


Già.


Che ne sa Giulio cosa vuol dire portarlo da una veterinaria senza sapere nemmeno che aspetto abbia un ambulatorio. E poi fermarsi in un negozio di animali e spendere la prima fortuna comprando tutto quello di cui ignoravi completamente l'esistenza, arrivare a casa con quel nuovo essere vivente che annusa dappertutto e riempie le tue stanze di una vita che finora non c'era, e decidere che lo chiamerai Spank.

Perché sarà un cane felice.

Come quello dei cartoni animati.


Mi vengono in mente tutte le volte che ho provato a spiegare a Giulio cosa significhi vivere fianco a fianco con un cane per otto anni e non averlo mai fatto con nessuno prima.

Ma che ne sa Giulio.


Giulio vive con il mood della notte, come dice lui.

Passare da un locale all’altro, da una pacca sulla spalla all’altra, offrire birra a tutti i musicomani che incontra, sono queste le cose che lo fanno sentire parte del mondo.


Io e Spank ci sentiamo parte del mondo quando camminiamo nel bosco, liberi, col profumo di muschio e il sole che filtra tra le chiome degli alberi e va a fare l’arcobaleno su qualche ruscelletto.

Ci sentiamo parte del mondo davanti a un tramonto senza la necessità di fotografarlo e postarlo su facebook.

Ci sentiamo bene senza selfie, senza casino, e senza la musica a palla al mare perché ci piace il rumore delle onde e perché il canto delle cicale ci manda in visibilio. La notte io e Spank dormiamo.

E il nostro mood è quello della mattina presto d’estate, quando tutto è fresco, e pulito, e silenzioso, e impregnato di colori tenui, e il sole promette splendore.


Me l’ha insegnato lui tutto questo.


Spank, intendo.


M’ha insegnato quante cose si possono pensare e capire e cambiare camminando. L’importanza del silenzio, quello di quando parli lo stesso e quello di quando non devi dire niente e va bene così. Il senso di responsabilità che deriva dal doversi prendere cura di qualcuno.

E all’inizio fa paura, e vorresti tornare indietro, perché quel qualcuno dipende da te, e tu dovrai dargli da mangiare tutti i giorni e portarlo a fare i suoi bisogni e giocarci, e portarlo dal veterinario e fargli il bagno e organizzare con lui le vacanze e assicurarti che sia felice.


E ti viene da dire no, non ce la posso fare.

E invece poi ce la fai, eccome se ce la fai.

In cambio impari la fiducia. La pazienza. L’onestà. L’amicizia. E un sacco di altre cose che non mi metterò a scrivere su questo diario solo perché Giulio non le capisce.


Quello che scrivo, quello che m’importa scrivere, è che è il 1° agosto, ho trentadue anni, l’ennesima relazione se n’è andata a puttane e questa volta ci credevo.

E sbagliavo, perché Giulio non c’è più. E siamo il e il mio cane, di nuovo, un’altra volta, solo io e lui, perché lui non se va mai.


Però porca puttana, con quel dietro front di stamattina mi ha ricordato che un giorno se ne andrà.

E io non voglio, e non posso pensare di trovarmi qui, al Camping Edera, senza Spank che sonnecchia nella sua cuccia o che mi porta la pallina o si rotola nell’erba o mi aspetta sospirando mentre monto la tenda e tutto il mio armamentario.


Non posso pensarmi che non dico Aspettami qui e dopo cinque secondi sento i suoi passi che mi seguono nel corridoio dei cessi.


Non posso immaginarmi la mattina senza la sua lingua nell’orecchio, o l’umido del suo nasone da qualche parte sulla faccia.


Non posso, eppure ci penso.


E non posso.


E muoio.


E Giulio non ci sarà.


E non importa, non cambia niente.


Sarei morta da sola ugualmente.


Perché Giulio non c'è mai stato.

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