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AMORI E FURGONI


16 gennaio 2017

ore 21:14

(Scegli accuratamente la location. Per quanto tu ti senta caliente ricordati che sei in Irlanda, non a Tenerife.)


Primo fottutissimo giorno di lavoro dopo ventidue di assenza, di cui tredici in Irlanda e nove a casa con la febbre a 39.6 - di media, con picchi di 40.1 -, tutta la parte destra della faccia paralizzata dal catarro - lo so, fa schifo ma tant'è - mal di testa cronico, scatole di Moment act che ti fanno un azz, depressione da prigionia casalinga perché anche se sei una che esce una volta ogni cinque mesi improvvisamente vieni travolta dall'impellente necessità di catapultarti fuori per dieci notti consecutive, tosse, Levotuss trenta gocce tre volte al giorno, paracetamolo, antibiotico, Guardia Medica domenicale, cortisone per non farsi mancare niente. E se arrivi alle undici di stasera sei Vale dei Miracoli.

Non bisognerebbe mai scopare in un furgone.

O meglio, lo puoi pure fare se sei a Torre Mozza con trentotto gradi, le cicale, i gabbiani, il rumore del mare, le lenzuola pulite, una bella bottiglia di Bianco nel minifrigo e il profumo di pece e di sale che s'intrufola dalla zanzariera.



Ma scopare in un furgone in Irlanda, il 6 di gennaio, con meno nove fuori e meno diciotto dentro, il motore spento, nudi, nudi intendo senza vestiti, e senza coperte, e senza niente se non i cappotti sotto che ti si smerdano di non sai che cosa ma non importa perché altrimenti ti iberni, e intanto all'esterno si fa giorno e tu non senti un'anima viva perché sono tutti morti di freddo: ecco, questo non lo dovresti fare.



Io e John Braccio di Ferro abbiamo camminato per circa due ore e mezzo in cerca di una stramaledettissima stanza a Galway.

Va bene che era venerdì, e va bene che erano quasi le tre am.


Ma Gesù.


Tra quelli che erano pieni, quelli che avevano posto solo in dormitorio - e certo 👌-, quelli che per una camera duecentotrenta euro e dovevi lasciarla entro le nove ma ti davano la colazione, e quelli che manco rispondevano al citofono, non c'è stato niente da fare.


Nada. Nisba. Nicht. Rien à faire. Aràngiti.


Quando siamo arrivati al furgone, esausti, i cappotti sbottonati, il reggiseno che ormai non si capiva più se era in una manica o in una tasca, le mutande infilate chissà dove e il cuore che mi batteva tipo diciottenne in calore, l'idea brillantissima è stata mia. «Mettiamo tutto davanti - ho detto dando un'occhiata fugace al retro pieno di attrezzi da lavoro scarpe cassette sacchi sgabelli pieghevoli registri e non so che diavolo altro - stendiamo i cappotti, e abbiamo il nostro letto.»


Non avrei mai pensato che la cosa mi sarebbe costata quaranta di febbre, centodieci di medicine perché se sei una turista del cazzo è già tanto se hai il diritto di camminare sul pavimento della farmacia figuriamoci se puoi chiedere i farmaci generici, la perdita momentanea dell'udito dall'orecchio destro, mezza giornata per il dottore e mezzo stipendio per la segretaria all'uscita, un'ora al dì per cinque dì di aerosol e un bel piantino isterico finale.


Credo che invece John a modo suo lo immaginasse.


Per quanto faccia il carpentiere - e questo non vuol dire un cazzo, in effetti - quindi diciamo che per quanto forse non goda di questa fervidissima fantasia - ma rimane pur sempre Braccio di Ferro - mi ha guardato con aria perplessa per una manciata di secondi.


«Sei sicura?» mi ha chiesto.


Perché gli irlandesi sono sempre very kind o meglio perché gliela devi sbattere in fronte, altrimenti hanno paura di offenderti.


«I'm really sure.»


Così John Braccio di Ferro ha aperto la bauliera, e ha spostato davanti tutto ciò che era dietro.


Sono proprio un genio, non c'è che dire.



E voi l'avete mai fatto in un furgone? ... di quelli senza letto, si capisce 😁

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