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FILASTROCCA DEL MATTO ERMANNO


Papà disse «È troppo strano»

mamma aggiunse «Che facciamo?»,

li sentii dalla cucina

e poi venne una mattina,

quella del mio compleanno,

di anni ne facevo otto

papà disse «Vieni Ermanno!»

e lei mi prese l'orsacchiotto.


Mamma fece una valigia,

era grossa e tutta grigia,

l'automobile era accesa

e io pensai che una sorpresa

di sicuro mi aspettava,

perché per tutto quel viaggio

la mia mamma bisbigliava

e lui diceva «Su, coraggio!»


Io pensavo a un'avventura

perché mamma era un po' triste,

pensai «Forse avrà paura

di veder cose mai viste!

Ci saranno gli elefanti?

O conoscerò i giganti?

O magari questo strazio

è perché andiamo nello spazio?»


Ero tanto emozionato

che capii che ero arrivato

solo quando la vettura

si fermò in un posto strano:

avvertii un po' di paura

e indicai dei grossi umani

con la testa tra le mani,

ma stringendo la mia mano

papà disse «Forza Ermanno!

Vedrai che ti piaceranno!»


Non so dir se era un giardino,

perché dopo un attimino

un signore tutto in bianco

disse «Bimbo, sarai stanco!»

Io volevo contraddirlo

poiché non lo ero per niente,

ma mi spinsero a seguirlo

e non pensavo già più a niente.


Quel signore con gli occhiali

ci spiegò in pochi minuti

che non siamo tutti uguali,

e era l'ora dei saluti.

Io ricordo solo a stento

che la mamma con sgomento

pianse «Ti amo figlio mio!»,

e papà mi disse «Addio!».


Poi stordito e stralunato

mi trovai prima di sera

fra tre muri confinato,

e per finestra una ringhiera.

Piansi fino alla mattina,

chiesi della mia mammina,

ma poi quando fece giorno

non la vidi far ritorno.


Mi spiegarono col tempo

che mi aveva abbandonato,

perché un bimbo che è un po' lento

bon c'è verso, va curato.

Lento io??? Si eran sbagliati!

Nella corsa ero un maestro

e sorvolavo tutti i prati

forte del mio piede destro!


Non ci fu niente da fare

e cominciò tra quelle mura

quella che si può chiamare

la più grande mia sventura.

Mi hanno detto in conclusione

che ho una grave malattia:

parlo e faccio confusione

e l'han chiamata dislessia.


Ma non c'è soltanto questo,

perché quando fuori è festa

dicon che trovo il pretesto

per restar con la mia testa.

Un dottore si è arrabbiato

quando in barba ai soldatini

io mi son buttato a terra,

gonfio e rosso mi ha intimato

che è un dovere dei bambini

giocare a far la guerra,

ma io ho pianto e gli ho gridato

che non farò mai il soldato,

odio il suono delle bombe,

mentre quello delle trombe

quello lo amo a prima vista:

voglio fare il musicista!


************************


Ecco fatto, amici miei.

Chi vi parla è sempre Ermanno

e di certo non vorrei

dirvi che con un inganno

in manicomio mi han portato

e sapete, son restato

schiavo di questa galera

per questa mia vita intera,

ché domani io ne fo' settantasette

(così almeno mi hanno detto)

ma non sono mica poi così sicuro

perché penso, con rispetto,

che una mente abituata alle manette

perde ciò che ha di più puro.


Io volevo solo fare il musicista

e forse sì, non parlavo molto bene,

ma se è vero che ho settantasette anni

(perdonatemi la svista),

io non credo che abbian fatto così bene

a rinchiudere qui dentro me e i miei amici

perché infine, a conti fatti,

volevamo solo essere felici,

anche se ci chiaman matti.

E di tutti questi matti

che negli anni ho qui incontrato

vi assicuro che la mente

è quel che enormemente ho amato.


Vorrei tanto conferire

con colui che ha stabilito

chi è normale e può gioire,

e chi è matto e va punito.


Vorrei leggere un trattato

(ma sensato, veramente),

che giustifichi il reato

della malattia di mente.


Vorrei mettercela tutta

la mia scarsa intelligenza

per convincermi che è brutta

questa nostra differenza.


Ma son vecchio, sono matto,

a chi importa che un cretino

nel suo letto ormai disfatto

pensi a quando era bambino?


Ammirando il poco sole

che entra da questa mia grata

scrivo le ultime parole

a quell'anima sbagliata

(fosse una, una al mondo)

a cui dicono che è un mostro,

che è diversa, non normale:

io le urlo col mio inchiostro

che il normale non esiste,

e che la sua vita vale

mille volte, centomila,

più di chi arrogante insiste

a numerare questa fila.


Se c'è un'anima diversa

che si sente sola e persa

vorrei dir con la mia storia

che non c'è una graduatoria.

Che è più semplice ferire

ciò che non si può capire,

che va a debita distanza

tutto ciò che è stravaganza.


Questo tempo qui è un inferno,

non c'è autunno, primavera,

non c'è estate e non c'è inverno

perché questa è una galera.


Non lasciatevi ingannare,

regalate a questo vecchio

il motivo per amare

ciò che vede il vostro specchio.

Ribellatevi ai giudizi,

bestemmiate i pregiudizi,

se vi dicono «Sei matto»

voi ridete di soppiatto

e riprendete quella strada:


ovunque sia,

e dovunque vada.


(I matti esistono solo nella nostra mente mattamente sana.)



Da "Brontola il cielo". In tutte le librerie digitali e fisiche.

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